Un'altra Bosnia ha bisogno di
un'altra Europa.
Le proteste e le manifestazioni sono cominciate i primi giorni di febbraio a Tuzla, storico polo industriale nel nord della Bosnia. Gli studiosi: "Per un'altra Bosnia serve un'altra Europa, c'è rischio di una nuova Kiev" .
Le proteste e le manifestazioni sono cominciate i primi giorni
di febbraio a Tuzla, storico polo industriale nel nord della Bosnia e dove
negli ultimi venti anni sono state privatizzate molte industrie ed attività
produttive. Alcune migliaia di persone sono scese in strada per chiedere al
governo locale ragione delle privatizzazioni e dei successivi fallimenti di due
grandi società: la fabbrica di detersivi Dita e quella di mobili Konjuh che
ormai da mesi non pagano gli stipendi, né coprono l'assistenza sanitaria.
Le mobilitazioni contro il governo, contro un livello di
corruzione altissimo, contro la disoccupazione, contro il carovita e contro le
privatizzazioni delle industrie si sono velocemente estese a tante altre città
della Federazione: Sarajevo, Zenica, Mostar e Bihac. Successivamente, anche se
in misura minore, hanno fatto seguito dimostrazioni di sostegno in altre città
e centri come Gorazde, Kakanj, Sanski Most, Livno, ma anche della Repubblica
Srpska, a Banja Luka, Prijedor, Gracanica e Bijelina, così come a Brcko. La
protesta è continuata per tutto il mese e ho fatto registrare molti episodi
violenti.
A Sarajevo, (esattamente trent'anni fa a Sarajevo, capitale
della Bosnia Erzegovina, si svolgevano i Giochi olimpici invernali) dopo duri
scontri con la polizia i manifestanti hanno incendiato il portone di ingresso
dell’edificio del governo cantonale; a Tuzla hanno preso a sassate e infine
dato fuoco agli edifici del potere politico e costretto alle dimmissioni il
governo del cantone (una delle dieci entità locali in cui è suddivisa la
Federazione croato-musulmana. Anche a Mostar e Zenica vi sono stati scontri con
la polizia, oltre duecento feriti, molti arresti. Alla base di questa
mobilitazione popolare, che a distanza di un mese, prosegue, vi è il malcontento
diffuso per una situazione economica sempre più difficile e la richiesta di
lavoro.
La rivolta popolare covava da tempo e le proteste annunciate, in
un Paese che, devastato dalla guerra (1992 - 1995), non ha ancora raggiunto il
livello dello sviluppo precedente al conflitto, con la disoccupazione
certificata al 46 per cento (solo nel cantone di Tuzla vi sono centomila
disoccupati contro gli 80mila che hanno un lavoro). Per non parlare della
disoccupazione giovanile, che supera il 60 per cento in un paese che è ancora
molto lontano (a differenza delle altre ex repubbliche jugoslave) dalla
prospettiva di adesione all’Unione europea. L’estensione della protesta in
città a maggioranza croata e serba e la sua interetnicità hanno testimoniato il
carattere sociale e non etnico della protesta stessa, che è andata via via
incattivendosi per le repressioni sanguinose e per un uso violento della
polizia come non si era mai registrato negli ultimi vent'anni.
In Bosnia Herzegovina, dalla fine della guerra non si erano mai
viste manifestazioni così partecipate. Le frustrazioni e la rabbia dei
manifestanti si sono rivolte contro le inettitudini del governo e delle
amministrazioni cantonali, particolarmente costose e che non esistono
nell’altra entità bosniaca, la Republika Srpska (Rs, a maggioranza serba) tanto
che in quattro cantoni i gli amministratori locali si sono dovuti dimettere dai
loro incarichi. Anche per il presidente di turno della presidenza tripartita
bosniaca, Zeljko Komsic, i responsabili dei «problemi che si accumulano da
anni» sono i politici, incapaci di dare risposte positive e del tutto assenti
nel momento in cui vi sarebbe stato bisogno di azioni concrete. Dal 1995 gli
accordi di Dayton (calati dall'alto e insufficienti) hanno diviso il paese in
due entità etnicamente separate: la Federazione di Bosnia ed Erzegovina e la
Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina (o Repubblica Srpska).
Il Distretto di Brcko è una entità autonoma particolare. Il
distretto di Brčko fu formato dall'intero territorio della municipalità di
Brčko, della quale il 48% (inclusa la città di Brčko) era nella Repubblica
Serba di Bosnia ed Erzegovina mentre il 52% era nella Federazione di Bosnia ed
Erzegovina Dopo la guerra l'Unione europea ha mantenuto una presenza
diplomatica di peacekeeping nell'area. La comunità internazionale ha sempre
ricondotto i suoi interventi alle questioni etniche e spalmando gli
investimenti e gli aiuti secondo logiche egualitarie. I risultati sono stati
insufficienti e i dirigenti delle tre comunità etniche appaiono sempre più
distanti dalla gente comune che li giudica servi corrotti di un sistema
inefficiente. Corruzione, inefficienza, paralisi. Quale che sia l'origine
etnica, le condizioni di povertà colpiscono bosniaci, croati, serbi
indistintamente. Questo il quadro in cui la Bosnia Erzegovina si avvia alle
elezioni politiche generali previste per il prossimo mese di ottobre.
Un'altra Bosnia ha bisogno di un'altra
Europa
Le manifestazioni e le proteste fanno intravedere però anche
proposte e progetti di speranza. Innanzitutto la nascita dei “plenum”, ovvero
dei propri e veri forum cittadini autogestiti che si riuniscono quotidianamente
a Sarajevo e Tuzla. In una recente nota pubblicata dall'Osservatorio dei
Balcani e Caucaso (struttura che si occupa di sud-est Europa, Turchia e
Caucaso), due studiosi esperti dell'area dei Balcani (Wolfgang Petritsch, ex
Alto Rappresentante in Bosnia, docente dell' Università di Harvard e Christophe
Solioz, autore e politologo) non esitano ad affermare che: “Ormai è inevitabile
arrivare ad una riforma completa degli Accordi di Dayton e questo implica non
solo la scrittura di una nuova costituzione ma anche di una nuova architettura
istituzionale che, allo stesso tempo, rinforzi le competenze centrali dello
stato e introduca una decentralizzazione intelligente a livello di regioni da
creare - e questo implica la fine di un paese suddiviso in due Entità tanto
disfunzionali che esangui, e la fine dei dieci cantoni di una Federazione in
fallimento dal 2003”. Riferendosi alla partecipazione popolare alle proteste e
ai plenum, i due studiosi dicono: “Si può quindi legittimamente sperare in
un'alleanza tra, da una parte gli esperti locali e, dall'altra, le forze
civiche che stanno occupando intelligentemente lo spazio pubblico – e qui ci
riferiamo al Plenum di Tuzla che è divenuto uno spazio di parola libero da ogni
divieto, censura e influenza, e che sta pesando con tutta la sua influenza
sulla nomenklatura. Questo movimento sociale fa uscire la Bosnia da uno stato
d'impotenza e libera nuove possibilità. Detto questo, un'altra Bosnia ha
bisogno di un'altra Europa, se Bruxelles non vuole rischiare di trovarsi in
futuro a Sarajevo nelle stesse condizioni in cui ora si trova a Kiev”.
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