martedì 4 marzo 2014

Un'altra Bosnia ha bisogno di un'altra Europa.

Le proteste e le manifestazioni sono cominciate i primi giorni di febbraio a Tuzla, storico polo industriale nel nord della Bosnia. Gli studiosi: "Per un'altra Bosnia serve un'altra Europa, c'è rischio di una nuova Kiev" .


Le proteste e le manifestazioni sono cominciate i primi giorni di febbraio a Tuzla, storico polo industriale nel nord della Bosnia e dove negli ultimi venti anni sono state privatizzate molte industrie ed attività produttive. Alcune migliaia di persone sono scese in strada per chiedere al governo locale ragione delle privatizzazioni e dei successivi fallimenti di due grandi società: la fabbrica di detersivi Dita e quella di mobili Konjuh che ormai da mesi non pagano gli stipendi, né coprono l'assistenza sanitaria.

Le mobilitazioni contro il governo, contro un livello di corruzione altissimo, contro la disoccupazione, contro il carovita e contro le privatizzazioni delle industrie si sono velocemente estese a tante altre città della Federazione: Sarajevo, Zenica, Mostar e Bihac. Successivamente, anche se in misura minore, hanno fatto seguito dimostrazioni di sostegno in altre città e centri come Gorazde, Kakanj, Sanski Most, Livno, ma anche della Repubblica Srpska, a Banja Luka, Prijedor, Gracanica e Bijelina, così come a Brcko. La protesta è continuata per tutto il mese e ho fatto registrare molti episodi violenti.

A Sarajevo, (esattamente trent'anni fa a Sarajevo, capitale della Bosnia Erzegovina, si svolgevano i Giochi olimpici invernali) dopo duri scontri con la polizia i manifestanti hanno incendiato il portone di ingresso dell’edificio del governo cantonale; a Tuzla hanno preso a sassate e infine dato fuoco agli edifici del potere politico e costretto alle dimmissioni il governo del cantone (una delle dieci entità locali in cui è suddivisa la Federazione croato-musulmana. Anche a Mostar e Zenica vi sono stati scontri con la polizia, oltre duecento feriti, molti arresti. Alla base di questa mobilitazione popolare, che a distanza di un mese, prosegue, vi è il malcontento diffuso per una situazione economica sempre più difficile e la richiesta di lavoro.

La rivolta popolare covava da tempo e le proteste annunciate, in un Paese che, devastato dalla guerra (1992 - 1995), non ha ancora raggiunto il livello dello sviluppo precedente al conflitto, con la disoccupazione certificata al 46 per cento (solo nel cantone di Tuzla vi sono centomila disoccupati contro gli 80mila che hanno un lavoro). Per non parlare della disoccupazione giovanile, che supera il 60 per cento in un paese che è ancora molto lontano (a differenza delle altre ex repubbliche jugoslave) dalla prospettiva di adesione all’Unione europea. L’estensione della protesta in città a maggioranza croata e serba e la sua interetnicità hanno testimoniato il carattere sociale e non etnico della protesta stessa, che è andata via via incattivendosi per le repressioni sanguinose e per un uso violento della polizia come non si era mai registrato negli ultimi vent'anni.

In Bosnia Herzegovina, dalla fine della guerra non si erano mai viste manifestazioni così partecipate. Le frustrazioni e la rabbia dei manifestanti si sono rivolte contro le inettitudini del governo e delle amministrazioni cantonali, particolarmente costose e che non esistono nell’altra entità bosniaca, la Republika Srpska (Rs, a maggioranza serba) tanto che in quattro cantoni i gli amministratori locali si sono dovuti dimettere dai loro incarichi. Anche per il presidente di turno della presidenza tripartita bosniaca, Zeljko Komsic, i responsabili dei «problemi che si accumulano da anni» sono i politici, incapaci di dare risposte positive e del tutto assenti nel momento in cui vi sarebbe stato bisogno di azioni concrete. Dal 1995 gli accordi di Dayton (calati dall'alto e insufficienti) hanno diviso il paese in due entità etnicamente separate: la Federazione di Bosnia ed Erzegovina e la Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina (o Repubblica Srpska).

Il Distretto di Brcko è una entità autonoma particolare. Il distretto di Brčko fu formato dall'intero territorio della municipalità di Brčko, della quale il 48% (inclusa la città di Brčko) era nella Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina mentre il 52% era nella Federazione di Bosnia ed Erzegovina Dopo la guerra l'Unione europea ha mantenuto una presenza diplomatica di peacekeeping nell'area. La comunità internazionale ha sempre ricondotto i suoi interventi alle questioni etniche e spalmando gli investimenti e gli aiuti secondo logiche egualitarie. I risultati sono stati insufficienti e i dirigenti delle tre comunità etniche appaiono sempre più distanti dalla gente comune che li giudica servi corrotti di un sistema inefficiente. Corruzione, inefficienza, paralisi. Quale che sia l'origine etnica, le condizioni di povertà colpiscono bosniaci, croati, serbi indistintamente. Questo il quadro in cui la Bosnia Erzegovina si avvia alle elezioni politiche generali previste per il prossimo mese di ottobre.

Un'altra Bosnia ha bisogno di un'altra Europa

Le manifestazioni e le proteste fanno intravedere però anche proposte e progetti di speranza. Innanzitutto la nascita dei “plenum”, ovvero dei propri e veri forum cittadini autogestiti che si riuniscono quotidianamente a Sarajevo e Tuzla. In una recente nota pubblicata dall'Osservatorio dei Balcani e Caucaso (struttura che si occupa di sud-est Europa, Turchia e Caucaso), due studiosi esperti dell'area dei Balcani (Wolfgang Petritsch, ex Alto Rappresentante in Bosnia, docente dell' Università di Harvard e Christophe Solioz, autore e politologo) non esitano ad affermare che: “Ormai è inevitabile arrivare ad una riforma completa degli Accordi di Dayton e questo implica non solo la scrittura di una nuova costituzione ma anche di una nuova architettura istituzionale che, allo stesso tempo, rinforzi le competenze centrali dello stato e introduca una decentralizzazione intelligente a livello di regioni da creare - e questo implica la fine di un paese suddiviso in due Entità tanto disfunzionali che esangui, e la fine dei dieci cantoni di una Federazione in fallimento dal 2003”. Riferendosi alla partecipazione popolare alle proteste e ai plenum, i due studiosi dicono: “Si può quindi legittimamente sperare in un'alleanza tra, da una parte gli esperti locali e, dall'altra, le forze civiche che stanno occupando intelligentemente lo spazio pubblico – e qui ci riferiamo al Plenum di Tuzla che è divenuto uno spazio di parola libero da ogni divieto, censura e influenza, e che sta pesando con tutta la sua influenza sulla nomenklatura. Questo movimento sociale fa uscire la Bosnia da uno stato d'impotenza e libera nuove possibilità. Detto questo, un'altra Bosnia ha bisogno di un'altra Europa, se Bruxelles non vuole rischiare di trovarsi in futuro a Sarajevo nelle stesse condizioni in cui ora si trova a Kiev”.

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