La favola della Bosnia, dalle macerie al Mondiale
Per la prima volta l’ex repubblica jugoslava approda alla Coppa
Un miracolo, pensando all’orribile guerra di 20 anni fa.
Era solo il 1993: l’orrore ovunque, il sogno multietnico in frantumi sotto i colpi dei cecchini, la coscienza sporca dell’Europa che si specchiava nella lenta agonia di quella che era stata una delle più belle città di Levante, Sarajevo. Il dramma della Bosnia ( e il suicidio della Jugoslavia) riflettevano i suoi sanguinosi riverberi anche sullo sport: simbolo della stupidità umana lo Stadio Olimpico, figlio della pace e della fraternità a cinque cerchi solo un decennio prima, ora bucherellato dalle granate, sfregiato dall’odio.
LEONESSA - Vent’anni dopo la Storia si prende la rivincita. Con una di quelle bellissime parabole che il calcio, quando vuole, sa ancora offrire: la Bosnia, per ora unica tra le vecchie repubbliche jugoslave, andrà, per la prima volta in vita sua, ai Mondiali di calcio: ha timbrato il biglietto per il Brasile in Lituania, dopo aver condotto da leonessa tutto il girone eliminatorio (25 punti su 30, meglio solo la Germania e l’Olanda) con la sola Grecia che si affannava a starle dietro. Perché questa è la generazione d’oro dei del calcio bosniaco che già nel 2010 ( e pure agli Europei 2012) era andato vicino alla qualificazione, sempre fermati dal Portogallo ai playoff.
MIGLIAIA IN PIAZZA- Sugli scudi il superbomber Edin Dzeko, il romanista Pjanic e il dirimpettaio Lulic, eroe biancazzurro del famoso derby di coppa. E poi l’altro puntero Ibisevic e capitan Spahic. Ragazzi dai venti ai trent’anni che due decadi fa avrebbero magari imbracciato le armi per combattere contro glie x-fratelli serbi e gli ex-fratelli croati. Ora, non è che tutte le ferite siano state rimarginate: le comunità stanno tendenzialmente per conto loro. Ma come spesso succede, nel nome del pallone, la Bosnia Erzegovina esiste: migliaia di tifosi (non importa di quale ascendenza, bosniaci e basta) sono impazziti per le strade di Sarajevo per accogliere gli eroi di Vilnius . E nessun incidente è stato registrato a Banja Luka ( o a Mostar), bastioni di serbi e croati di Bosnia.
«IL BRASILE CI AIUTERA’»-Insomma, n sentire comune incredibile e ritrovato che trova conferma nelle parole di Safet Susic, totem della fortissima Jugoslavia unita di marca ’80, oggi mister della nazionale gialloblu: «Il paese è afflitto da problemi politici ed economici. Che si riflettono anche nel calcio: ma andare in Brasile ci aiuterà. Questa squadra unisce la gente. Pochi anni fa mai avresti immaginato di vedere bosniaci, serbi e croati sostenerci, ma adesso è tutto cambiato». Già, è bello pensare che, grazie al pallone, almeno per un attimo gli odi intestini e gli stadi sfregiati siano stati soltanto un brutto sogno.
0 commenti:
Posta un commento