mercoledì 5 marzo 2014

La favola della Bosnia, dalle macerie al Mondiale

Per la prima volta l’ex repubblica jugoslava approda alla Coppa
Un miracolo, pensando all’orribile guerra di 20 anni fa.


Era solo il 1993: l’orrore ovunque, il sogno multietnico in frantumi sotto i colpi dei cecchini, la coscienza sporca dell’Europa che si specchiava nella lenta agonia di quella che era stata una delle più belle città di Levante, Sarajevo. Il dramma della Bosnia ( e il suicidio della Jugoslavia) riflettevano i suoi sanguinosi riverberi anche sullo sport: simbolo della stupidità umana lo Stadio Olimpico, figlio della pace e della fraternità a cinque cerchi solo un decennio prima, ora bucherellato dalle granate, sfregiato dall’odio.

LEONESSA - Vent’anni dopo la Storia si prende la rivincita. Con una di quelle bellissime parabole che il calcio, quando vuole, sa ancora offrire: la Bosnia, per ora unica tra le vecchie repubbliche jugoslave, andrà, per la prima volta in vita sua, ai Mondiali di calcio: ha timbrato il biglietto per il Brasile in Lituania, dopo aver condotto da leonessa tutto il girone eliminatorio (25 punti su 30, meglio solo la Germania e l’Olanda) con la sola Grecia che si affannava a starle dietro. Perché questa è la generazione d’oro dei del calcio bosniaco che già nel 2010 ( e pure agli Europei 2012) era andato vicino alla qualificazione, sempre fermati dal Portogallo ai playoff.
MIGLIAIA IN PIAZZA- Sugli scudi il superbomber Edin Dzeko, il romanista Pjanic e il dirimpettaio Lulic, eroe biancazzurro del famoso derby di coppa. E poi l’altro puntero Ibisevic e capitan Spahic. Ragazzi dai venti ai trent’anni che due decadi fa avrebbero magari imbracciato le armi per combattere contro glie x-fratelli serbi e gli ex-fratelli croati. Ora, non è che tutte le ferite siano state rimarginate: le comunità stanno tendenzialmente per conto loro. Ma come spesso succede, nel nome del pallone, la Bosnia Erzegovina esiste: migliaia di tifosi (non importa di quale ascendenza, bosniaci e basta) sono impazziti per le strade di Sarajevo per accogliere gli eroi di Vilnius . E nessun incidente è stato registrato a Banja Luka ( o a Mostar), bastioni di serbi e croati di Bosnia.
«IL BRASILE CI AIUTERA’»-Insomma, n sentire comune incredibile e ritrovato che trova conferma nelle parole di Safet Susic, totem della fortissima Jugoslavia unita di marca ’80, oggi mister della nazionale gialloblu: «Il paese è afflitto da problemi politici ed economici. Che si riflettono anche nel calcio: ma andare in Brasile ci aiuterà. Questa squadra unisce la gente. Pochi anni fa mai avresti immaginato di vedere bosniaci, serbi e croati sostenerci, ma adesso è tutto cambiato». Già, è bello pensare che, grazie al pallone, almeno per un attimo gli odi intestini e gli stadi sfregiati siano stati soltanto un brutto sogno.

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