venerdì 28 febbraio 2014

Rischio Jugoslavia per l'Ucraina
Mentre il presidente Yanukovich rivendica la presidenza, la Crimea dimostra che le divisioni tra la popolazione sono reali. Le elezioni a maggio sono forse troppo lontane per evitare l’escalation in corso .
Mentre i manifestanti di piazza Maidan annunciano un nuovo gabinetto per l’Ucraina e propongono Yatsenyuk come nuovo primo ministro, il presidente Viktor Yanukovich, dopo la fuga con disonore da Kiev e la presa dei palazzi del potere da parte degli oppositori, stamattina (27 febbraio) ha rivendicato a mezzo stampa il proprio ruolo: “Sono ancora il presidente” ha detto da località sconosciuta.

Quanto il suo annuncio sia credibile, però, lo si capisce dai vessilli che sventolano sul palazzo del parlamento regionale di Sinferopoli, in Crimea. Una bandiera russa che sta là a ricordare al resto del Paese (e del mondo) che la Crimea era e si sente russa. Nonostante il “regalo” fatto da Kruschev nel ’45 agli ucraini, infatti, la più grande base militare russa è e resta significativamente a Sebastopoli.

Adesso che le acque si sono calmate a Kiev, occorrerebbe a mente fredda ragionare su cosa sia successo davvero nelle ultime settimane in Ucraina. Un presidente regolarmente eletto (con elezioni monitorate dall’OCSE e giudicate perfettamente legali) e che nel corso del suo mandato ha anche compiuto riforme costituzionali con l’appoggio del parlamento (altrettanto democraticamente eletto) è stato costretto a fuggire più per insipienza e codardia - dato il crescendo di violenze di piazza - che per l’intima convinzione di aver davvero compiuto dei misfatti per cui deve pagare.

Un presidente incapace
Le proteste di piazza sono state fronteggiate con scarsissima professionalità da una polizia inefficiente e violenta (ora smantellata), comandata da un presidente in stato confusionale, eterodiretto e scarsamente lungimirante. Per quanto ci possa essere antipatico il presidente Yanukovich, però, oggi non possiamo non dubitare del fatto che quello che è successo a Kiev sia stato, secondo i canoni europei, un fatto apertamente eversivo e un pericoloso esempio per future proteste.

Cosa avremmo detto in Italia se degli oppositori a un governo inetto fossero riusciti a far fuggire il presidente del Consiglio da Palazzo Chigi? Si dirà che a Kiev la polizia ha sparato. È vero. Ma in un Paese normale, se è la polizia a compiere eccessi, i suoi responsabili di regola vengono processati e condannati dalla giustizia ordinaria. Non si aspetta che fugga un presidente.


Il pericoloso sentimento filo-russo
Queste condizioni, insieme, hanno consentito di abbattere un’impalcatura istituzionale democratica a una “folla” importante ma non si sa quanto effettivamente rappresentativa dei sentimenti della maggioranza della popolazione. Spia di questo lecito dubbio non è soltanto il fatto che le proteste siano andate in scena praticamente solo a Kiev, ma anche che in questo Paese coesistono più realtà: in Crimea, ad esempio, abita un 58% di popolazione di etnia russa, un 25% di ucraini, un 12% di tatari. Qui finisce il primo tempo di questa storia. Con la Crimea in rivolta comincia invece il secondo tempo.
 Il ministro degli Interni ucraino, Arsen Avakov, a proposito di Sinferopoli, ha affermato che la zona nei pressi degli edifici governativi è stata transennata per “evitare spargimenti di sangue”, e ha parlato della presenza di provocatori. Mentre il presidente ucraino ad interim Olexander Turchynov ha messo in guardia la Russia contro qualsiasi “aggressione militare” in Crimea, chiedendo al governo di Mosca di ordinare alla sua flotta nel Mar Nero di non muoversi dalla base navale di Sebastopoli. Mentre, secondo l’agenzia Interfax: “Caccia russi pattugliano costantemente le regioni di confine”.

Prospettive
Se, insomma, a Kiev la piazza è tornata alla calma, le interviste volanti rilasciate dalle bande di estremisti di destra che presidiano ancora la capitale, inducono però a pensare che la parte più militarizzata dei manifestanti sia lungi dall’essere soddisfatta degli esiti del compromesso raggiunto sinora con la mediazione UE. Al netto delle elezioni previste a maggio.


Quello che ancora manca da valutare, infatti, è proprio il sentimento della maggioranza degli ucraini. Si sa che l’Est è rimasto comunque legato alla Russia, mentre l’Ovest non ha tagliato i suoi legami con quella Polonia che per secoli l’ha occupato. Yanukovich o meno, sono queste due anime che si dovranno affrontare e, con buona pace del mainstream giornalistico occidentale, è ora il momento di analizzare se per gli interessi dell’Europa è meglio avere una Ucraina stabile e governata democraticamente oppure veder crescere una nuova Jugoslavia che, tra tensioni capaci di sconfinare in guerra civile e le minacce da Mosca, potrebbe rivelarsi l’ennesima fonte di destabilizzazione di uno scacchiere, che non sembra avere bisogno di tali sconvolgimenti.

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